di Mario Meliadò – «Il danno è fatto. Ormai, prendiamoci tutto il tempo necessario per uscirne nella miglior maniera possibile». Secondo qualche partecipante, è questo il senso ultimo dell’incontro di oggi dei consiglieri regionali e del gotha calabrese di Forza Italia tenutosi a Lamezia Terme, in relazione alle recenti vicende a Palazzo Campanella. “Mega” vertice, almeno per durata: da mezzogiorno a sera inoltrata.
Va detto che intanto nel confronto sono state rivangate alcune vecchie questioni. Elettorali, ma addirittura pre-elettorali.
E allora: sì, è convincimento diffuso che il voto per il consigliere-questore nel complesso gestita male. E le critiche di “dilettantismo politico” mosse dal vicecoordinatore regionale Nino Foti (Leggi qui), ex parlamentare reggino, erano risuonate impietose nei confronti del neoquestore Giuseppe Graziano della Casa delle libertà, per via dei 18 (!) voti rastrellati con malcelato lavorìo diplomatico nei confronti di singoli esponenti (e qualche gruppetto) della maggioranza, al punto da farne il segretario-questore più votato e con notevole scarto su Peppe Neri di Dp (12 suffragi), questore di maggioranza.
Ma è vero pure che s’è raccontata poco “un’altra faccia” della vicenda, che affonda le radici prim’ancòra del 23 novembre. Col comandante del Corpo forestale dello Stato per Calabria e Sicilia che fino a poche ore dal deposito delle liste doveva essere regolarmente candidato in Forza Italia, come voleva lui stesso. E invece all’ultimo istante è stato “dirottato” nella “lista del presidente” in quanto, altrimenti, i cidiellini avrebbero messo a rischio il conseguimento del quorum (guardare i numeri “col senno di poi” sarà d’aiuto…), «con l’effetto-domino di vedere addirittura la mancata presentazione del simbolo Cdl nella circoscrizione elettorale Sud», quella di Reggio Calabria e provincia, rammentano i beneinformati.
Lacerante la ricostruzione delle trattative che hanno portato l’Assemblea, in occasione della prima seduta, a “incoronare” Tonino Scalzo in prima votazione grazie ai suffragi ncd e, di converso, l’alfaniano Pino Gentile quale vicepresidente dell’Assemblea “di minoranza”, obiettivo in concreto raggiungibile – e centrato – solo con voti del centrosinistra, accanto ai tre del Nuovo Centrodestra.
E poi, «un’azione è “politica” solo se produce un utile politico, altrimenti rimane fine a se stessa…». Questo “mantra” è risuonato parecchie volte nel corso del summit lametino dei berlusconiani. In sostanza: se qualche consenso addizionale sulle rive del centrosinistra andava ghermito, era semmai proprio quel “tot” determinante per superare Gentile e ottenere ugualmente la vicepresidenza di minoranza d’Assemblea (e non il voto plebiscitario per Graziano che, in assenza di competitor, anche con un suffragio solo sarebbe ugualmente entrato in Ufficio di Presidenza). Ma non è andata così. E la spaccatura coi quattro voti a favore di Mimmo Tallini, i tre a supporto di Ennio Morrone e l’astensione di Nazzareno Salerno ha peggiorato la proiezione pubblica dell’intera faccenda.
Per non parlare dell’incapacità di convergere unitariamente persino sulla presidenza del gruppo consiliare di Fi: è vero che gli organi politici hanno sempre lasciato e lasceranno anche stavolta che a decidere un simile incarico, strettamente “intuitu personae”, siano i soli consiglieri regionali diretti interessati. Ma è vero pure che ulteriori tentennamenti per la coordinatrice regionale, la deputata Jole Santelli, così come per i suoi quattro vice non sono ammissibili: di qui il caloroso invito a trovare la “quadra” anche con Tallini e Fausto Orsomarso per rendere la designazione del reggino Sandro Nicolò a capogruppo un elemento d’unità, generato a voti unanimi, e non piuttosto l’ennesimo fattore di divisione in un contesto per certi versi disarmante.

Pure altri fattori hanno infatti influito in negativo. Per esempio, la nota in cui il giovane Giuseppe Mangialavori ha messo nero-su-bianco ciò che in effetti era stato deciso a Cosenza (Leggi la notizia), ma fuori da ogni discrezione: sarà lui – unico consigliere cidiellino a guidare il partito nel Vibonese, per lo scorno di Salerno. In politica, però, alcune questioni di forma sono inderogabili: la garanzia sul suo avvenire alla guida del partito a Vibo e provincia è fuori discussione, vero, ma sulla carta a scegliere i coordinatori è sempre Roma, «o meglio Silvio Berlusconi».
Non poteva quest’elemento essere trascurato, anche perché appena anticipata proprio da Strill.it la notizia che appunto Mangialavori sarà il futuro coordinatore vibonese, per come poi confermato dall’interessato in un comunicato-stampa, l’indignazione del coordinatore in carica Mimmo Arena era “esplosa” (Approfondisci la notizia): «Non so se nello statuto della Cdl esista l’istituto dell’ “autonomina” dei coordinatori provinciali. Di sicuro, non esiste in Forza Italia», era stata la sua replica al curaro.
E allora, diciamo che contraddizioni e contrapposizioni rimangono oggi vive, ma Forza Italia ha già deciso una cosa: meglio non affrettarsi che fare altri danni all’immagine del partito; utile, anzi, tentare, di mettere in luce i punti deboli di un centrosinistra che non è certo “tutte luci” (e le modifiche statutarie, già in occasione della sessione d’aula del 20 gennaio, “aiuteranno”…). E la bussola del partito dovrà sempre indicare per tutti una direzione sola: l’unità interna. Che oggi, però, manca.