Condanna pesantissima per Domenico Laface. Il gup reggino, Domenico Santoro, lo ha condannato a 18 di carcere per il reato di maltrattamenti in famiglia aggravati dalla morte della persona offesa ed inoltre, ha riconosciuto l’aggravante dell’aver agito con crudeltà. Regge in toto quindi l’impianto accusatorio del sostituto procuratore Antonella Crisafulli che per l’uomo aveva invocato 20 di reclusione. Ad un anno dalla morte di Immacolta Rumi si chiude il primo step giudiziario di una vicenda che all’epoca sconvolse l’intera Reggio Calabria e approdò anche fra le cronache nazionali. Domenico Laface per il gup reggino provocò la morte della compagna, e madre dei suoi figli, che è deceduta in seguito da un’emorragia interna causata dalle percosse ricevute. Anni e anni di maltrattamenti, anni e anni di violenze fisiche, psicologie e verbali.
A raccontarlo agli inquirenti durante le indagini sono stati proprio i figli della coppia, stanchi degli abusi perpetrati dal padre e soprattutto distrutti dalla morte della loro madre. «I miei genitori litigavano spesso. Mio padre l’ha malmenata con una certa violenza in più occasioni anche in presenza mia e dei miei fratelli. A volte le dava anche pugni sul viso, sul corpo, calci. In qualche occasione l’ha picchiata con un bastone del tipo da passeggio che normalmente sta all’ingresso nel portaombrelli». Questo è quanto hanno riferito agli inquirenti i figli. L’ultimo episodio di violenza di cui i figli hanno riferito sarebbe risalito alla settimana precedente alla morte: «Eravamo in casa. C’era anche mia sorella … In tale circostanza sono riuscita a farli smettere e a calmarli», racconta una delle figlie. E un’altra delle ragazze: «Apprendevo, al riguardo, da mia sorella che, nella circostanza risalente al 28 aprile, mio padre avrebbe usato per l’ennesima volta violenza nei confronti di mia madre e, peraltro, anche con modalità particolarmente veementi». Circostanze e fatti confermate anche dai figli maschi della coppia che pur sapendo delle violenze fisiche hanno entrambi sostenuto, nei fatti di non essersi mai resi conto della gravità dei fatti e del rischio che correva la madre.
Le dichiarazioni raccolte dai Carabinieri della Compagnia di Reggio Calabria, hanno descritto un uomo irascibile e violento. Laface infatti, è stato condannato per lo stesso reato molto prima della relazione con la Ruimi. L’umo infatti, aveva questi comportamenti anche nei confronti della prima moglie che gli sono costati una condanna ad un anno di reclusione. Le testimonianze dei figli, i referti medici e le poco credibili giustificazioni che lo stesso Laface avrebbe dato agli inquirenti subito dopo il fatto, dichiarando di aver accompagnato la donna in ospedale dopo averla trovata in quelle condizioni in casa dopo il suo rientro, indussero il gip a disporre l’arresto. «In questo contesto non c’è chi non veda come sia impensabile accedere a misure alternative o ad una convivenza in casa con altri familiari, che vanno viceversa protetti dall’uomo e dalla sua irruenza incontrollabile, pronta ad esplodere a seguito dei più banali episodi, sicché l’unica misura cautelare adottabile è quella invocata dall’accusa». Alla luce della pesantissima condanna inflitta, Laface quindi in carcere ci resterà per molto tempo. Colpevole non soltanto di aver provato la morte della sua compagna, ma di aver privato inevitabilmente i suoi sei figli della propria madre e anche della sua figura, facendo piombare nella disperazione un’intera famiglia.
(A.P.)