Si è chiuso con nove condanne e un’assoluzione il processo ordinario scaturito dall’inchiesta “Alba di Scilla” condotto contro le cosche Nasone-Gaietti. Il Tribunale reggino, presieduto da Natina Pratticó, ha inflitto condanne che oscillano dai 15 anni all’anno e mezzo di reclusione, sposando così l’impianto accusatorio sostenuto dai pm antimafia Rosario Ferracane e Annamaria Frustaci. La pena più dura è stata comminata ad Angelo Carina punito infatti con 15 anni e 10mila euro di multa. Ad Antonino Calabrese sono stati inflitti 7 anni e 6 mesi di carcere più 5000 euro di multa a Carmelo Calabrese 9 anni e 7 mila euro di multa. Altra condanna pesante è stata quella disposta nei confronti di Rocco De Lorenzo a cui il Collegio ha inflitto 13 anni di reclusione e 8mila euro di multa. A Matteo Gaietti sono stati comminati 10 anni a Rocco Gaietti 6 anni di reclusione, a Domenico Nasone invece, 7 anni, sei mesi e 5000 euro di multa. Per questo imputato il Tribunale ha disposto l’assoluzione per l’accusa di associazione mafiosa. Durante la propria requisitoria i pm avevano invocato una condanna a 17 anni di detenzione. Ammonta infine a 8 anni e 5mila euro di multa la condanna rimediata da Francesco Nasone e a un anno e sei mesi quella inflitta a Caterina Meduri. Assolto in toto dalle accuse Francesco Libro, per cui la Dda aveva invocato 12 anni e sei mesi di carcere. Si è chiuso quindi uno dei processi più delicati per la Dda guidata da Cafiero De Raho. Le indagini – avviate nel giugno del 2011 a seguito dell’arresto per estorsione di un indagato – rientravo infatti, in una più ampia manovra investigativa coordinata dalla Dda di Reggio Calabria nei confronti della ‘ndrangheta di Scilla. L’inchiesta, soprattutto alla luce di questa sentenza, ha consentito di confermare “l’esistenza a Scilla di un’associazione mafiosa denominata cosca Nasone-Gaietti costituita ed organizzata al fine di assumere il controllo sul territorio del comune di Scilla delle attività economiche, degli appalti pubblici e privati a mezzo estorsioni, intimidazioni sugli imprenditori, avvalendosi per dette finalità della forza e dell’intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento che ne deriva”. I reati contestati dalla Dda erano a vario titolo, quelli di associazione di stampo mafioso, estorsione e intestazione fittizia di beni, entrambi aggravati dal metodo mafioso. L’attività investigativa avrebbe fatto emergere la capillare pressione estorsiva esercitata dalla cosca su imprenditori locali con particolari interessi delle famiglie mafiose sugli importanti appalti dei lavori dell’Autostrada A3 Salerno – Reggio Calabria. In particolare, stando all’ipotesi accusatoria, la cosca avrebbe vessato un imprenditore obbligandolo a pagare una tangente di 6 mila euro, corrispondente a circa il 3% dell’intero importo dei lavori, come condizione assolutamente necessaria alla prosecuzione degli stessi. In questo caso la ‘ndrina avrebbe esercitato pressione mafiosa tramite due danneggiamenti a distanza di pochi giorni subiti dalla ditta nel cantiere Anas nel tratto Scilla-Favazzina sulla statale 18.
Angela Panzera