Riceviamo e pubblichiamo – Sono nato a Vibo Valentia 27 anni fa, qui ho vissuto sino ad ora e, tra alti e bassi, ho imparato persino ad amare questa città.
Più di ogni altra cosa, a questa terra mi hanno legato le mie radici, le mie tradizioni, quelle di una comunità sempre più divisa che sa riscoprirsi unita solo nei momenti topici, tradizionali, paradossalmente in quelle rappresentazioni popolari che rimangono immutate da secoli e che, allo stesso modo, generano commozione e interesse.
La Pietà popolare, la rappresentazione sacra, è stata per secoli la vera forma di evangelizzazione delle masse, di quel popolo “ignorante” che “leggeva”attraverso le stesse figurazioni le vicenda di vita e morte di Gesù Cristo.
Quello che oggi potrebbe sembrare inutile si riscopre, invece, come ultimo collante sociale, come ultima espressione di fede di un territorio che, ogni volta, rinasce e si ritrova unito.
E’ proprio per questo motivo che, alla luce dell’aggressione mediatica che negli ultimi mesi ha investito le tradizioni popolari calabresi, ho pensato di riportare il mio modestissimo parere su una questione che, vi assicuro, provoca enormi sofferenze all’intera popolazione.
Faccio parte di una confraternita, che gestisce da sempre i riti della settimana santa nella città di Vibo Valentia, sin da quando sono nato così come mio padre, i miei nonni e i miei avi, chissà da quante generazioni.
Da loro ho imparato ad amare le tradizioni popolari, da loro ho capito quanto sia importante essere custodi di un passato , intenso, che ogni anno rivive.
Non camminavo ancora quando, per la prima volta, ho indossato la “vesta”(tunica tradizionale) e da li ho iniziato un percorso che ad oggi ancora continua.
A 15 anni sono diventato uno dei quattro portantini della Madonna, il più giovane di sempre, che da 12 anni porto sulle spalle. È proprio questo il punto…
Non sono un mafioso, anzi, mio padre non lo è, non ho nessun predominio consortile da imporre alla comunità attraverso le rappresentazioni sacre. Io come gli altri.
Dipingere uno scenario pittoresco, surreale, che vorrebbe le figurazioni sacre calabresi come dei “summit mafiosi itineranti”, atti ad imporre il proprio predominio territoriale, offende la dignità di tutte quegli uomini di buona volontà mossi, esclusivamente, da Fede e amore per questo territorio.
Chi scrive non ha certo i prosciutti d’avanti gli occhi, né tantomeno vuole portare avanti una tesi negazionista, anzi.
La ‘ndrangheta è, senza ombra di dubbio, il vero cancro di questo territorio, il vero handicap di una terra che non ha mai potuto aprire le ali ma questo non giustifica, in alcun modo, generalizzazioni di ogni sorta, atte ad imbastire casi mediatici locali e nazionali.
Oggi più che mai occorre essere uniti per isolare chi approfitta di questi riti per imporre la propria egemonia ma non si può certo negare, ad intere comunità, di esprimere la propria fede e la propria cultura popolare. Non sarebbe democratico, non sarebbe da paese civile.
Annullando una processione si cancella una storia, un passato, che nemmeno guerre e carestie sono riusciti a fermare, si tagliano le radici di un determinato territorio, siumilia e discrimina un intero popolo raffigurato, in ginocchio, ossequiante, ai piedi dei mafiosi…ma non è affatto così…
Le processioni sono del popolo, non della mafia. Rubare alla gente le proprie tradizioni vuol dire far vincere la mafia.
Alla Chiesa calabrese, alle autorità civili, voglio rivolgere un accorato appello:
agite per il bene comune, agite per l’integrità dei nostri riti ma, vi prego, non metteteci tutti sulla stessa barca, non lasciate che si faccia di tutta l’erba un fascio, non trattateci da mafiosi…non lo siamo…
Francesco Colelli